senso comune

Gli uomini condividono, senza bisogno di una particolare riflessione critica, una serie di credenze a proposito della realtà, del mondo e dell'uomo, e una serie di principi; la riflessione critica su questi argomenti, che sia essa di tipo scientifico o filosofico, ha il compito di giustificarli razionalmente. Questo insieme di certezze e principi prende il nome di "senso comune", perchè è il frutto nell'uomo dell'evidenza dell'esistenza della realtà e dei legami che evidenziano l'esistenza di un ordine. Al senso comune si contrappongono tutte le filosofie "del dubbio" che, a partire da quella cartesiana, sospendono ogni assenso a tutto ciò che non è frutto di una riflessione critica, la quale assume così un ruolo fondante.

 

Una antropologia del "senso comune" è dunque una riflessione filosofica sull'uomo che si pone come obiettivo quello di dare un fondamento razionale alle certezze che si presentano con evidenza su questo argomento. Si tratta di avere, in sostanza, un atteggiamento di umiltà nei confronti della realtà, e della realtà umana in particolare; un atteggiamento contemplativo di fronte a come l'uomo "è".

 

Certo, sarebbe più facile partire da una idea studiata "a tavolino", bella, allettante su come l'uomo "dovrebbe essere", ma la scienza ha il compito di spiegare come è e come funziona la realtà, non di dire come dovrebbe essere e funzionare, secondo i nostri desideri o progetti. 

 

In effetti, il tentativo di spiegare ciò che è intuitivo è forse la cosa più difficile; mi viene in mente Sant'Agostino, che nelle sue Confessioni scriveva: "Che cos'è dunque il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so più" (Libro XI). Ma l'atteggiamento del "senso comune" è, a mio parere, un ottimo fondamento antropologico per lo studio dell'uomo. 

 

Rudolf Allers (1883-1963), ad esempio, ha fatto di questo concetto la base della sua psicologia: "Non serviam!" è l'atteggiamento che sta alla radice della sofferenza del nevrotico. Ma lo sforzo per raggiungere qualcosa non solo al di là della propria possibilità personale, ma oltre le possibilità di ogni essere umano, implica una auto-contraddizione, perché ogni ambizione è condizionata dalle limitazioni della natura umana. Solo un individuo al quale la "onnipotenza" - "esse sicut dii" - è essenzialmente negata può aspirare a una cosa del genere. 

 

Il disgusto nei confronti della propria natura umana e finita è un rifiuto di quella natura sulla quale ogni ambizione si deve fondare; e la nevrosi è la forma che questo atteggiamento paradossale assume. Da quando questo atteggiamento del non serviam è radicato nell'intimità più profonda della natura umana, la nevrosi stessa non è che una esagerazione delle caratteristiche della personalità umana comune a tutti noi" (The new psychologies). 

Ciò che definisce la naturalità di qualcosa non è la sua frequenza statistica, ma l'aderenza al proprio progetto. In termini aristotelici, infatti, la natura è il principio insito nelle cose, che guida il loro passaggio da potenza ad atto. 

 

Roberto Marchesini