SATURDAY NIGHT FEVER #3 - IL VIP
Per Evita Schwarz la verità non può mai essere dolce o delicata. Cosa aspettarsi dunque da Saturday Night Fever? La testimonianza tagliente, ironica e mai compiaciuta di una devozione nei confronti dell’arte in tutte le sue impercettibili sfumature.
Avrei voluto non dover parlare di Biennale, ma come si fa? Ero riuscita persino a superare – con un paio di valium – lo stroboscopico effetto delle mille foto identiche che mi sono comparse in questi giorni in home sui social. Foto di persone che mi vien da pensare fossero convinte di essere le uniche al vernissage munite di smartphone (carico), o di essere le prescelte o le uniche a poter fotografare una Biennale che s’immaginavano forse senza catalogo, senza foto ufficiali. Insomma testimoni di una Biennale così effimera che se non ne postavi subito le foto poi potevi girarti e non trovarne più le opere. Bah! Comunque, dicevo, l’ho superata e mi ero infatti detta che avrei potuto parlare d’altro in questo pezzo, anche perché, infondo, la Biennale, c’è ogni anno (ndr. questa è una battuta che gioca sulla scarsa differenza oramai tra Biennale Architettura e Biennale Arte). Ma poi, mentre ero a tanto così dal cominciare il mio pezzo sull’odio che nutro verso il voto popolare dei concorsi, sono finita qui:
e poi da qui sono capitata qui:
E per chi se lo stesse chiedendo, alla fine sì, sto scrivendo un pezzo sulla Biennale e no, non so tanto bene come andrà a finire.
Dunque dicevo, dopo essere rimasta a bocca aperta qualche secondo su quella foto in cui Kanye West ascolta la visita guidata del forse amico Okwui Enwezor e dopo aver sgamato pure Cate Blanchett spararsi l’opening del padiglione Australiano come fosse la roba più normale del mondo mi son chiesta «ma è mica possibile che in tutto sto marasma non ci sia manco un italiano abbastanza VIP da meritarsi una foto nei canali social della Biennale?» Cioè, voglio dire, ok che la Biennale è a Venezia e che Venezia è una città più scomoda di Milano e in cui non si può parcheggiare in doppia fila come per andare a farsi le vasche all’EXPO, ma diciamo che resta comunque più comoda per uno che arriva dallo stivale che non per uno che viene da oltre oceano, quindi mi son messa a ravanare in tutti gli account de La Biennale alla ricerca di ITALIA’S GOT VIP. Via! Instagram nulla. Facebook niente. Vine no. Twitter! Yeah! C’è Francesco De Gregori! Per chi non lo sapesse Francesco De Gregori è lui che è quello della canzone sulla donna cicciona.
Anche @fdegregori al vernissage della #BiennaleArte2015 #venicebiennale2015 pic.twitter.com/8f1eJmWtS9
— Biennale di Venezia (@la_Biennale) 8 Maggio 2015
Bene. Felice di trovarlo in splendida forma per essere oramai non più un giovinetto, lo saluto virtualmente e continuo la mia ricerca nella speranza di trovare qualcuno di, come dire, più fresco. Oh! Un cazzo! Francesco De Gregori è l’unico VIP italiano segnalato da La Biennale. Al che mi dico «sta a vedere che è colpa della Biennale che non si caga gli italiani. Mi pare pazzesco, ma provo a convincermene. Allora mi ricordo di tutte le mille mila foto di tutti i mille mila che alla Biennale c’erano e volevano che tutti lo sapessero e su due piedi mi improvviso mente matematica e sviluppo una mia formuletta: X : (Biennale +Social Network) = VIP : (Biennale+Social network)x2 Che significa: se il tizio X va alla Biennale e vuole che tutti lo sappiano, tanto più lo farà il tizio VIP! Decido ovviamente di avvalorare immediatamente la mia tesi andando a spulciare tra gli account di un po’ di VIP ma, per restare in tema con Kanye West, scelgo alcuni dei rapper de noantri. Primo in lista: Fedez! Tra l’altro uno che si fotografa pure mentre piscia, dunque spero con tutto il cuore di trovare la conferma della sua presenza in Biennale proprio nel suo Instagram: una bella foto con la sua solita faccia da babbuino in primo piano su sfondo padiglione, uno qualsiasi, anche uno brutto sarebbe ok, ma invece…
In corrispondenza con i giorni di vernissage, quello che trovo è una foto di lui che se la spassa a giocare al trono di spade laser (indossando degli occhiali finti che forse pensa lo possano salvare dai raggi ultra violenti del neon) assieme al suo compagno di merende J-Ax, il quale, vista l’età, mi sembra addirittura più babbo di minchia del giovane Fedez. Insomma per i due inseparabili Robin Hood e Little John del rap di Biennale neanche l’ombra. Prima delusione. Ma non demordo. È proprio in quel frangente che penso: «Beh, ma se Fedez non c’era allora il suo acerrimo nemico per forza sarà stato lì!» Parlo ovviamente dello zio Fabri Fibra. Mi metto allora a digitarne con bramosia il nome, vogliosa di verità, vogliosa di scoprire che ho ragione e che anche noi c’abbiamo un Kanye West, ma invece…
Invece ecco cosa succedeva allo zio Fabri: mentre a Venezia la gente faceva la coda per farsi un selfie con le sculture a forma di cazzo di Sarah Lucas. Fibra se ne stava su Gmail a controllare che di cazzi non ce ne fossero nella sua posta in arrivo. Questo per dire che nulla. Seconda delusione. Ad ogni modo non demordo e tento la sorte anche con Weedo, Mondo Marcio, Marracash, Club Dogo, Clementino, Rocco Hunt, Moreno, perfino Caparezza che ha dedicato un pezzo al decrepito Van Gogh. Niente. Nessuno di loro si trovava in laguna nei giorni di vernice.
Insomma:
Il rap nel mio paese
un po’ qua un po’ là
un po’ rock, un po’ dance, ma poi niente bienna’!
Definitiva delusione.
La triste conclusione di questa giornata passata tra i social dei VIP è che inizio sempre più a credere che a essere indietro di dieci anni non sia solo il nostro paese, ma anche chi il nostro paese lo abita e soprattutto chi lo critica. E non parlo del panettiere scorbutico, del postino caga cazzo, del professore di matematica depresso o della signora esausta che pulisce le scale. Ho preso come esempio i rapper per una ragione precisa. Perché sono quelli che col paese arretrato che ci ritroviamo ci sguazzano, vincendo i dischi di platino e perché sono quelli che lo fanno sparando sentenze da mattina a sera. Perché sono questi qua, oggi, per le nuove generazioni, la voce vera di un paese in declino. In teoria. Ed ecco la ragion per cui trovo ancor più una intollerabile disattenzione la loro assenza dal contesto internazionale, ma anche italiano, della Biennale. Perché loro, proprio loro, definiti oramai sempre più spesso i poeti contemporanei, dovrebbero capire perché una loro foto col culo posato su una panchina dei Giardini vale di più di altre quindici in cui limonano con la tipa, o giocano col proprio cane o a PES.
Nel mio oroscopo di questa settimana Rob Brezsny dice che non dovrei descrivere i mali del mondo e trovarne piuttosto l’antidoto. Eh! Dev’essere per questo che non riesco a non prendermela così tanto. Io l’antidoto mica ce l’ho, ma che palle che l’arte venga conosciuta dalla massa in maniera così approssimativa! Non se ne può più di vedere quei cazzo di scenografici Lodola sul palco di X Factor venir presentati però come opere d’arte (cosa che effettivamente sono. In teoria).
Ma poi mi dico, d’altro canto, cosa si vuol pretendere da un paese in cui Jovanotti è forse l’unico musicista italiano ad aver collaborato con un artista vero (parlasi di Maurizio Cattelan, seppur in veste di Toilet Paper)?
Ma torniamo all’antidoto. L’antidoto… Ecco. Se fossi capace vi direi che l’antidoto sarebbe mettersi a fare rap e farsi fare i videoclip da gente come Cory Arcangel, ma non si può. O meglio, io di certo non posso. Ma forse, intanto, quel che si può fare è non stupirsi se Kanye West da oltre oceano va a Venezia per guardarsi la Biennale, o se lo fa Cate Blanchett o Leonardo Di Caprio (due anni fa). È cosa buona e giusta infondo. Oppure iniziamo a spammare i VIP rapper con dei gattini come hanno fatto con Salvini! Io intanto però vado a firmare la petizione per avere Kanye West come nuovo direttore della Biennale di Venezia.
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