Salone del Libro stereografico
La mia scelta di visitare il Salone del Libro via drone ha delle ragioni ben fondate. Anzitutto le nuove potenzialità di visione 3D in remoto e la disponibilità di batterie al litio di nuova concezione garantiscono prestazioni fino a qualche tempo fa inimmaginabili. In seconda istanza grazie a questa telepresenza mi è possibile evitare gli aspetti più folkloristici, ma anche più pesanti, di questo happening solitamente riferito alla cultura in senso lato. Sembrerà paradossale, ma la mia agorafobia mi impedisce di stare in luoghi chiusi troppo grandi e troppo popolosi. Visitatori: tutte brave persone, per carità. Qui non si legga un malcelato snobismo per il lettore casuale o il commercio di titoli che sono poco più di exploitation combinatorie (enogastronomia e filosofia, cinema e videogiochi, malattie terminali e animalismo, psicomagia e tutorial informatici 3.0). Col mio drone sorvolo tutto molto volentieri, immortalando in alta qualità digitale spezzoni di conferenze dal suono un po' confuso, le comparsate dei VIP, il rito delle pagine di cortesia autografate dagli autori e la gloria posticcia dei padiglioni dall'aspetto spesso sorprendente, ma alieno, sarà forse per la paura che ho d'entrarci col drone: le eliche potrebbero andare a cozzare contro le colonne in cartongesso o impigliarsi nei tiranti d'acciaio resi invisibili da un effetto controluce, facendo precipitare il mio surrogato corporeo in balìa di attenzioni indesiderate. Forse ispirato dal penultimo romanzo di Houellebecq, la mia mappatura è cominciata prima in modo regolare, con andamento bustrofedico, poi ha subìto l'ispirazione del momento imprimendo al quadricottero cabrate leggere e sicure, portandolo a indugiare su una copertina particolarmente attraente, ridicola o pomposa, laddove il buongusto cede il passo alla probabile indagine di mercato dell'altrui cattivo gusto, ma in ogni caso cos'altro si può pensare di queste operazioni editoriali, se non che per il bene dell'editoria anche questo deve accadere per far sembrare il resto dei libri più degni o meritevoli grazie all'effetto contrasto. Provo un grande piacere nel sentirmi padrone dei miei strumenti critici, è una fortuna che qualcuno si prenda la briga di progettare prodotti culturali che è semplicissimo stroncare. Nel 99% dei casi basta davvero un'occhiata alla copertina. Dopo un'ora di navigazione in telepresenza l'effetto immersivo è totale, non percepisco più la presenza fisica dei visori stereoscopici, più di una volta l'illusione è talmente perfetta da spingermi a rivolgere una domanda agli addetti dall'aria stanca dietro agli stand, salvo rendermi conto solo allora di non essere al Salone del Libro di Torino ma a casa mia, immerso nella mia poltrona sudaticcia, privo di dita che potrebbero sfogliare un volume. Sono un vettore di visione in un'esplorazione inconsapevole e labirintica, l'unica opacità che mi ottenebra è quella causata dalle occasionali zaffate di vapore dei catering. Certo, sarebbe stato possibile allestire un repertorio enciclopedico delle copertine dei libri anche grazie a delle semplici ricerche sul web, ma la completezza di questo database sarebbe stata priva d'aneddotica. Nessun algoritmo può descrivere (per il momento) la percezione d'imbarazzo che circonda l'arrivo del Presidente della Repubblica Mattarella, il passaggio di uno scrittore famoso o l'ingresso di un personaggio televisivo. Le persone stazionano attorno al centro dell'oggetto del desiderio ma spesso non sanno che farsene una volta che l'hanno raggiunto. Viene davvero da pensare ai libri autografati e comunque gettati a causa di un trasloco o in seguito a indesiderati lasciti testamentari. Col mio drone mi sento un Elio Germano cyborg confinato in una biblioteca di Recanati dai connotati industriali. Con la differenza che a me e al mio drone (o forse siamo la stessa cosa) la memoria e la genialità non sono concesse. Mi interessa solo la scansione, la superficie, l'impressione generale, l'episodio saliente da riportare per costruire un seppur discutibile "io c'ero". Al centro dell'immagine stabilizzata dal giroscopio vedo il decantato padiglione della Germania. L'aspetto è architettonico e austero, per le finiture è stato scelto un nero opaco dalla superficie non piatta. L'oculatezza di questa scelta ha qualcosa di compulsivo. Sembra la texture di sfondo di un sito gothic anni '90. Ha una certa bellezza. Qualche esperto potrà di certo apprezzare il valore dell'operazione connessa (che non ho indagato). Volo altrove verso gli stand internazionali. Una nazione in via di sviluppo ha scelto del mobilio arte povera, tipo le poltrone pauperiste di Ballarò. Quelle sedie di cartone traboccano d'entusiasmo nel loro osteggiare indisponibilità di fondi, tutto il PIL in un portamonete, lo scheuomorfismo di una rappresentanza in apparenza vicina ai bisogni degli ultimi (e per quanto ne posso sapere, potrebbe anche essere vero). Lo Stato povero mostra mobilio povero in un padiglione non meno grande di altri e sento che le mie aspettative sono soddisfatte. Gli stand della Finanza e della Polizia di Stato li sorvolo con più circospezione: non dubito che abbiano rilevato la presenza di apparecchiature di sorveglianza della stessa fattura della mia (per quanto ogni essere umano dotato di smartphone con la fissazione per la fotografia sociale coincide con un presidio di videosorveglianza). I militari in divisa parlano tra loro con un'espressività un po' troppo accentuata, ce n'è uno seduto da solo al tavolo delle conferenze di fronte a una platea vuota. Provo un profondo rispetto per chi mette la sua vita a repentaglio per dei perfetti sconosciuti. Io non lo farei neanche morto. Non capisco bene se i militari, collocati all'interno dei loro stand in modo un po' metafisico, siano abilitati a vere e proprie azioni di polizia nell'eventualità di un crimine oppure se la sicurezza dei padiglioni sia gestita in modo diverso. I militari negli stand del Salone del Libro impotenti come caschi blu ONU di fronte a ladri di biblioteche per ambiguità della giurisdizione. La recidiva nel furto librario vale anche per le esalogie, o un'esalogia vale un furto solo? Non so bene perché mi pongo queste domande nella mia poltrona sudaticcia, collegato in modo sempre più estraniante al mio drone che nessuno si decide ad abbattere. Anzi spesso le persone inquadrate sorridono al mio grandangolo anamorfico, eppure il mio drone non dovrebbe avere il logo di nessuna emittente televisiva. Le donne sorridono più spesso degli uomini. Sui libri spesso c'è lo "sconto fiera", anche del 20%. A me degli autori e delle case editrici non importa nulla. L'unico sconto che prendo in considerazione è quello del 100%. Circolano torrent di 3 GB contenenti migliaia di titoli. Spesso scarico un libro soltanto per farci una ricerca di testo e sfornare una citazione sui social network. Mi sembra davvero stupido fare il contrario, ritenersi degni di una stratificazione di letture e messaggi magari scritti a più mani o secondo procedimenti industriali, padding testuale, precipitati di corsi di scrittura affollati da menti prive di ispirazione in generale, individui che desiderano una collocazione creativa in modo da garantirsi una profondità interiore del tutto inverificabile. Qui potrei inserire una citazione da La filosofia di Andy Warhol ma non ho l'ebook, mi hanno solo prestato il cartaceo. Buonanotte. La velleità letteraria come ologramma identitario, concreta moneta di scambio in ambiti più o meno altolocati, mattone senza paglia che va ad accrescere strutture piramidali al tempo stesso competitive e consolatorie. Cittadini avvinti dalla convinzione neutralizzante di potersi estendere tramite la parola scritta e decollare con la sufficiente velocità di fuga per sfuggire alle sovradeterminazioni, forse per troppa educazione. Il mio drone è tornato sui suoi passi grazie all'autopilota (è un algoritmo preso pari pari dai robot tagliaerba) mi risveglio da un microsonno e riapro gli occhi, riconosco lo stand, c'ero già passato, dall'entrata di sicurezza fa capolino un imprenditore di fama nazionale, ma nessuno lo nota. La scena è un po' ingloriosa, lui sorride e abbozza, abbozza forse con se stesso o è la mia proiezione di notorietà che avrebbe voluto un ingresso più trionfale dal quale avere tutto l'agio di prendere le distanze. Non sono nemmeno certo di non aver visto un sosia.
Francamente non so più perché sto sorvolando il Salone del Libro al posto di un sito di archeologia industriale o al posto di monumenti che mi garantirebbero un numero più alto di visualizzazioni in seguito alla diffusione del footage. La moquette blu del Salone del Libro è inodore agli occhi del drone. Continuo a preferire le copertine insensate o facili bersaglio d'ironia. Continuo a notare con un certo disturbo le somiglianze tra madri e figlie andate assieme, con diligenza, al Salone del Libro. Da un lato puoi considerare la progenie come una manifestazione concreta della giovinezza, dall'altro non puoi ignorare il memento mori dei lineamenti cascanti. Anche se sto ripetendo troppe volte il nome dell'evento in oggetto, il che può creare un effetto repulsivo per l'indicizzazione del contenuto, ci tengo a dire che mi piacerebbe un flash mob nel quale l'intero Salone del Libro venisse riprodotto senza libri, per un puro gesto simbolico a favore della cultura, un'iniziativa partorita da una galassia d'associazionismo conscia degli stratagemmi più aggiornati per ottenere visibilità a basso costo. Forse è uno stratagemma anche questo stesso video che sto stratificando con la rotta irregolare e arbitraria del mio drone, ma girato di notte nel Salone del Libro spopolato, come ha fatto Kevin Smith nel drugstore in Clerks. È sempre piacevole vedere i meno vecchi adoperarsi per delle cause sacrosante, decorati dalle proprie preferenze d'abbigliamento controcorrente, animati dallo stesso attivismo che li porterà ad assumersi responsabilità nella classe dirigente. Non è detto che poi non facciano anche delle cose buone. Dagli stand più rockettari, alle quattro del mattino, potrebbero sbucare dai loro nascondigli dei videomaker sfuggiti chissà come alla sorveglianza del padiglione della Polizia di Stato (e della Finanza), determinati a denunciare i rischi della massificazione con un video controverso che implica nudità al netto di qualsiasi fotocellula volumetrica di sicurezza. Nascosti nei propri passamontagna, attivisti deflagrano le teche in cristallo dell'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, magari sbombolettando slogan dalla grafia frettolosa (chissà perché poi, in un Salone spopolato) come prosecuzione ideale della spinta propositiva del movimento NoExpo. Riprenderei anche loro, col drone stabilizzato, flottando attorno al piccolo vandalismo per rendere la ripresa più scenografica. Se valesse la pena, mi getterei direttamente col drone dentro alla teca di cristallo che custodisce il fabbro icona gay delle 50 lire sulla copertina in bassorilievo di un'edizione di lusso, sarebbe il money shot, il ritorno non verrebbe direttamente dalla ripresa in sé ma da cosa nasce cosa, nell'ambiente si chiederebbero di chi è quel drone della gif animata che non si capisce se è gay-friendly o unfriendly (ambiguità utilissima). Diviso tra sogno e realtà, a me non importa che tutto ciò accada veramente, mi piace solo pensarlo, è un'ipotesi linguistica che adotto come strumento evasivo con buona pace di un libro della scuola di Palo Alto che non ho in ebook e quindi purtroppo non posso copiare e incollare, è un'idea che va bene come riempitivo per una pagina di blog o di libro, il suo peso sarebbe determinato più dalle capacità di dattilografia che da una reale pregnanza o dalla misurabilità degli effetti di questo proposito nel suo riverberarsi, grazie al potenza del logocentrismo, nelle coscienze di lettori più o meno avveduti e/o presenti come figure in lenta processione tra gli stand del Salone del Libro che non so fino a quando continuerò a sorvolare. Ho già ridotto al minimo la luminosità dei monitor del mio visore, ma la luce offende i miei occhi, una lacrima riesce a filtrare attraverso la guarnizione anatomica compromettendo l'aderenza degli occhiali. Se fossi seduto al centro del Salone del Libro invece che a casa mia, esposto come un tecno-freak disadattato sotto effetto di magia bianca o di una droga etnica tradizionale (o anche sotto l'effetto di quella marijuana che l'oppressione borghese e l'ingerenza vaticana continuano a sanzionare diversamente dall'alcool, per loschi interessi monopolistici) non potrei notare la differenza. Ci terrei che il megascreen della Regione Piemonte mi dedicasse un picture in picture per proiettare la mia soggettiva stralunata incastonata negli interventi dei relatori, coi loro movimenti appena laggati dall'ineliminabile roundtrip digitale del sistema di ripresa. Un relatore giustamente ha detto che è inutile concentrarsi sui contenuti da trasmettere, è più importante fornire mezzi di ragionamento, chiavi d'interpretazione, strumenti dialettici. Non mi imbarazzerei se io fossi totalmente nudo, pallido e sovrappeso, allacciato a una poltroncina snodabile al centro del Salone del Libro, con parametri vitali monitorati da volontari della Croce Verde (che anche loro si danno da fare e di ciò va dato loro merito) mentre roteando il capo in un lento delirio starei dirigendo la traiettoria del mio drone in telepresenza, pur convinto d'essere a casa mia, nella mia fidata poltrona, la stessa dove non disdegno la lettura di un buon libro o ebook scaricato illegalmente, magari accanto al caminetto con un bicchiere di buon brandy. Nessun cataclisma sarebbe in grado di comprimere tutti i libri dell'intero Salone del Libro in un unico volume definitivo, privo di qualsiasi ridondanza, il meta-volume dalla dubbia sfogliabilità simbolo di tutte le speranze e le ambizioni di tutti gli editori e attivisti, anche perché ciò andrebbe nella direzione di un pensiero unico dai connotati totalitari sgradito a chiunque sia dotato di un minimo di buonsenso e della sufficiente memoria storica.
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