Rimini, 5 Luglio 1985, Tondelli

Se avessi una macchina del tempo, uno dei primi posti dove andrei è il Grand Hotel di Rimini, 5 luglio 1985, presentazione del romanzo Rimini di Pier Vittorio Tondelli.
Rimini è un romanzo perfetto per descrivere gli anni '80, per come è editato male (direi da Elisabetta Sgarbi), con parole che ricordano le spalline imbottite delle giacche ("beveraggi", il bar che si chiama "Yellow"), per la tecnica di affioramento di personaggi e storie, per il tema del contrasto religione-sesso che è di uno dei personaggi e lo è / lo sarà di Tondelli, per la storia della presentazione che Tondelli chiede di fare a Roberto D'Agostino, e D'Agostino chiama a cantare Lu Colombo con la sua Rimini Ougadougou, che è un capolavoro a parte.
Quindi c'è D'Agostino con un turbante che era stato confezionato con gli stracci per pulire per terra, regalo di una stilista post-punk, una marea di imbucati tra cui un Vittorio Sgarbi non ancora famoso, come descritto nello splendido ricordo di Moreno Neri (dove trovate appunto D'Agostino con il turbante ed Elisabetta Sgarbi giovanissima).
Il problema è che Tondelli non si trova: dov'è ce lo spiega lo stesso D'Agostino su Dagospia.
A un certo punto, quando il giardino dell’hotel è già pieno di giornalisti e combriccole gaie giunte da ogni dove (Pier era per loro l’Isherwood italico), quelli della Bompiani vanno nel panico, all’epoca non c’erano i telefonini, Pier non si vede, scomparso, dov’è finito? Vado su a cercarlo e appena apro la porta della sua camera, vedo che c’è una vera e propria una simpatica orgia in progress, tutti che si spompinano allegramente, e lui che non vuole scendere. Allora gli dico: «Pier, che famo? Scendi, dai, c’è una folla che ti attende!»
E poi arriva la fine del mondo.
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