racconto d'estate con bambino

entrai per la prima volta in casa sua e vidi il bambino, che sembrava stare benissimo. correva, urlava e smaniava senza alcun segno di notturno malessere e senza alcuna soggezione per l'estraneo. mi sembrò anche di notare qualche altra stranezza: alcune pareti della casa sembravano scrostate, come grattate con un rastrello; il grosso e profondo divano era tutto sporco, si vedevano impronte di scarpe e macchie nere e untuose; più o meno ovunque c'erano sparpagliati dei pezzettini di plastica colorata. la donna non pareva accorgersi di tutto ciò e stava apparecchiando sul terrazzo la colazione del bambino.

mentre scambiavamo qualche parola di circostanza, il bambino riluttava a sedersi. tutte le blandizie furono inutili e la madre cominciò a cercare di imboccarlo in piedi, mentre correva per la stanza urtando i mobili e lanciando gridolini.

il latte non lo volle, alla crostatina diede un morso e lo sputò. lo yogurt lo sputò, e la banana non ne parliamo. io, piuttosto imbarazzato, stavo fermo al centro della stanza mentre i due giravano intorno, finché per riprendere il controllo della situazione non tirai fuori il piccolo regalo che avevo preso per il bambino: un giuoco della lego assurdamente costoso in rapporto alla sostanza, che era 'na specie di macchinina. il bambino, visto il pacchetto, me lo strappò di mano e si voltò verso il muro.

la madre, che continuava a inseguirlo con la crostatina in mano come fosse la cosa più normale del mondo, mi sorrise e disse che il bambino amava le costruzioni, e infatti lui appena sentite queste parole sbatté la scatola a terra e cominciò a prenderla a calci.

improvvisamente suonano alla porta ed è la nonna, che abita al piano di sotto. appena la vede il bambino comincia a saltellare di gioia mentre io sempre più imbarazzato mi presento.
la tipa che teoricamente volevo portare al mare dice "menomale mamma dai un occhio a fífi mentre mi cambio" e sparisce in fondo a un corridoio. restiamo io e la signora a fare salotto.

in quel momento noto un piccolo acquario. prima mi era sfuggito perché l'acqua è completamente verde. ogni tanto affiora un'ombra e, si direbbe, di un animale sproporzionatamente grande rispetto all'acquarietto. fanno anche acquari per rospi giganti? mi chiedo, mentre la signora mi spiega che il nipote non solo è il più bello dell'asilo (ed è effettivamente un bel bambino, con grandi occhi scuri), ma è pure di un'intelligenza e una sensibilità senza pari. mentre me lo dice il piccolo genio esce sulla terrazza e rientra alla guida di una macchina a pedali con cui riprende i giri attorno ai mobili e pretende che uno di noi faccia il carabiniere. la nonna si presta e per dieci minuti i due inscenano cinquanta volte un controllo di polizia.

nel frattempo noto che si sono fatte quasi le dieci e non sapendo che fare raccolgo la mia scatoletta dei lego calciata sotto il tavolo e mi metto a montare i pochi pezzi. il bambino se ne accorge e come un fulmine spazza il tavolino da caffè col braccio e butta tutto per aria gridando che è suo. comincio a dire "ma che ca" e poi mi ricordo della nonna, quindi sorrido ipocritamente e aiuto il moccio a raccogliere i pezzi, dopodiché il bambino perde di nuovo interesse ed esce sulla terrazza, da cui torna con una di quelle girelle colorate che funzionano a vento e comincia a sbatterla con non poca forza sulla parete, staccandone qualche scaglia di pittura verde petrolio.

in quella rientra la madre, vestita esattamente come mezz'ora prima, che comincia a gridare. "fífi adesso basta, BAAASTAA!", tanto che quasi mi spavento. io, ma non il bambino, che anzi non se ne fotte proprio. la nonna dice non gridare mentre la madre parte con una serie di minacce iperboliche: punizioni, collegi, abbandoni, manca solo la minaccia di morte, ma il bambino se ne infotte. allora la madre dice "adesso ce ne andiamo e ti lasciamo qui!" e presomi per mano mi tira fuori dalla porta.

appena usciti, sentiamo un urlo micidiale e un soqquadro come se qualcuno stesse buttando i mobili giù dal balcone. la donna spaventatissima riapre la porta e vediamo il bambino in lacrime che salta dal divano sulla cassa dei giochi, mentre la nonna cerca inutilmente di acchiapparlo.

seguono quindici minuti in cui bisogna calmare il bambino. io nel frattempo mi siedo sul divano a guardare la televisione e a tirare le somme.

la tattica della madre, si capisce subito, è di tollerare qualunque manifestazione vitalistica del piccolo nella speranza che si esaurisca da sola.
speranza sempre delusa ma di continuo risorgente, come poi è tipico della speranza.
quando il bambino comincia a rompere le suppellettili, però, la frustrazione della madre esplode in minacce sanguinose, che culminano in quella del collegio e/o abbandono. ovviamente la madre non è in grado di dare seguito a queste minacce e dopo aver finto l'abbandono è costretta a fare marcia indietro, dando al figlio la sicurezza dell'impunità. insomma, è la stessa strategia della politica criminale italiana, e infatti anche i risultati sono uguali.

la nonna, invece, pur sembrando più ragionevole è forse addirittura più dannosa. la sua tattica é di blandire e accontentare sempre il piccolo delinquente, magnificandone al contempo le doti naturali. il bambino è bello, intelligente, il bambino è buono e se vuole rifare cinquanta volte lo stesso gioco lei lo accontenta. l'importante è che stia sereno, perché se è sereno è anche calmo, e quindi non bisogna urlare né contrariarlo. naturalmente la nonna può comportarsi così perché col bambino non ci vive. lo vede per mezz'ora e può dedicargli l'energia che esaurirebbe una persona comune. chiusa la porta, soddisfatta della sua pedagogia progressista, la nonna se ne torna a salutare distanza, mentre il bambino rompe il muro o rovescia l'acquario melmoso. la tattica della nonna quindi è quella della sinistra italiana, che prova sempre grande comprensione per i fenomeni con cui non è costretta a confrontarsi.
fino a qui, tutto regolare.

quanto al bambino, la colpa non è sua, mi dico. ha capito che dalla madre non c'è nulla da temere e che può mettere la nonna contro la madre. alla sua età sta ancora vivendo la fase di despotismo di un bambino di due anni, e con crescente successo. forse è davvero intelligente, anche se sarebbe più corretto dire furbo e manipolatore, che poi è quanto in italia passa per intelligenza. sensibile lo è, se per sensibile intendiamo percettivo: ha sentito subito, per istinto, che deve mettermi al mio posto, chiarire che tra me e lui comanda lui e che devo comportarmi come la madre e la nonna. ha anche intuito che sono un debole e che quindi può impunemente mancarmi di rispetto. la mia presenza non deve in alcun modo distogliere i presenti dalla consapevolezza che l'attore principale è lui, che tutte le attenzioni devono essere per lui.
anche questo è abbastanza normale, mi dico, ma la vivacità del pargolo è decisamente superiore a quella che ho visto in altri bambini simili. comincio quindi a sospettare che dietro le conseguenze di un'educazione sbagliata ci sia qualche scompenso organico, se non un'indole malvagia.

mentre rimugino queste ovvietà madre e nonna sono riuscite a calmare il bimbo, che improvvisamente è passato dalle lacrime a una gioia illimitata. è così felice che gli sia riuscito un'altra volta il gioco che comincia ad emettere grida acutissime, di un'intensità davvero sbalorditiva. il suo "hiiiiiii" è così forte e acuto da raggiungere la soglia del dolore acustico, specie per me che sono un po' debole di orecchio.
il suo grido, si noti, è completamente innaturale. per la madre deve essere una manifestazione spontanea di gioia, commuovente nella sua intensità, invece è un gesto voluto, calcolato. il bambino si sta coscientemente sforzando di emettere il suono più acuto e violento che conosce. si vede benissimo che atteggia la bocca e contrae il collo con intenzione, per vedere fin dove può arrivare. questo grido di gioia in realtà è una specie di ruggito, un'arma usata per riconfermare la sottomissione degli altri, che devono sopportare e anche sorridere.

tutto contento, soddisfatta la sua pretesa di preminenza, il bambino comincia a giocare in modo più normale. prende un camioncino di plastica e lo struscia sul ripiano davanti alla televisione, da cui già manca uno strato di pittura, a riprova che la scenetta non è nuova.

a questo punto la nonna dice "ma ha mangiato?", e saputo delle difficoltà nutritive si illumina: è chiaro che il bambino ha fame, per questo fa così!
un attimo di tensione tra madre e figlia: l'implicito rimprovero di trascurare il bambino. se mi trovassi tra le due, i loro sguardi mi incenerirebbero. per fortuna sto sul divano e faccio finta di niente.

allora ricomincia la manfrina della colazione. la nonna prende altro latte, che viene rifiutato, e altre merendine, ugualmente sbocconcellate e sputate. ma è chiaro, il bambino si è agitato, si è commosso: per questo non mangia quieto e assennato come al solito. la fame lo fa sclerare, lo sclero gli leva l'appetito, e di nuovo, e di nuovo.

a questo punto la donna si siede accanto a me e dietro il suo sorriso stereotipato vedo la stanchezza. probabilmente non mentiva, è stata davvero sveglia fino all'alba perché il figlio non stava bene, cioè stava come al solito nel suo delirio di onnipotenza, che lei inconsapevolmente alimenta. infatti in seguito apprenderò che il bambino di pomeriggio fa il riposino, ma non alle tre come tutti i bambini, bensì verso le sei, in modo che possa svegliarsi verso le otto tutto pimpante e continuare a sfenarsi fino alle due di notte. alle tre il bambino deve vedere i cartoni e poi gli passa il sonno, quindi...

il mio problema, come sempre, è che rifletto troppo sulle cose senza agire. ormai sono le undici, andare al mare è impensabile e farei migliore figura ad andarmene, ma una specie di inerzia mi tiene sul divano mentre la donna, recuperata con sforzo un po' di energia, va a preparare la borsa del mare.

il bambino è anche lui in una fase di tregua. la nonna mi spiega che è appassionato di macchine, come il padre del resto, e che conosce già tutti i segnali. in quella noto che dietro la porta appoggiato a terra c'è un televisore piuttosto grosso. chissà perché, intuisco quel che dev'essere accaduto a quel televisore, e infatti la nonna seguendo il mio sguardo spiega che oggi non si può stare tranquilli. pensare che quel coso stava cadendo addosso al bambino! menomale che c'era lei. il televisore si era proprio sbilanciato da solo! cose da fargli solo causa! un televisore da cinquanta pollici che senza un motivo al mondo cade in avanti! stavano ancora aspettando quelli dell'isola ecologica.

a un tratto il bambino ordinò dell'acqua. la nonna gli disse di prendere il suo bicchiere, quello cogli smile, e il bambino ovviamente non lo fece e cercò di arrampicarsi al mobile per raggiungere i bicchieri, come doveva essersi arrampicato sul televisore quel giorno che cadde da solo. allora la nonna gli prese il bicchiere cogli smile e la bottiglietta d'acqua, ma il bambino rifiutò il bicchiere e spruzzò l'acqua a terra. chiarito che comandava lui, ebbe il bicchiere di vetro dei grandi e bevve sotto lo sguardo preoccupato della nonna. fatto ciò, venne a sedersi sul divano con la bottiglietta vuota, torcendola per ricavarne un piacevole rumore. poi, visto che non s'apprezzavano abbastanza i suoi sforzi, buttò il tappo di plastica a terra e disse nonna raccoglilo, e la nonna lo raccolse. un secondo e lo fece cadere di nuovo. dopo tre o quattro ripetizioni, palesemente insoddisfatto, disse "scotto raccoglilo".

lo guardai, senza simpatia. gli dissi "che hai detto?", tanto per dargli una possibilità, e lui "raccogli!", con assoluta consapevolezza. la nonna lo guardava deliziata. che bambino brillante! aveva già imparato il mio nome.

sorridendo, gli chiesi perché non se lo raccoglieva da solo. ci pensò un attimo, un po' sorpreso, e poi disse una lunga frase in cui capii solo "nella vita" e "ai bimbi". parlava piuttosto correttamente, anche se continuava infantilmente, e sicuramente di proposito, a pronunciare"elle" invece di "erre".

che hai detto? ripetei con un sorriso sempre più fisso, e lui, senza guardarmi, disse "nella vita bisogna fale le cose buone ai bambini".

ah. quindi era ancora più consapevole di quanto pensassi. ripeteva qualcosa sentito da nonni o maestre, probabilmente l'unica che gli faceva gioco. in quel momento tornò la madre e con gesto automatico raccolse il tappo.

a questo punto suonano di nuovo alla porta ed è il fratello della donna, che tra l'altro conoscevo e anzi è attraverso di lui che avevo conosciuto lei. entra, abbraccia il nipote e lo alza fino al soffitto chiamandolo sfaccimmo e piscitiello. quello, che si era appena calmato, naturalmente ricomincia a sfrenesiare e vuole essere alzato più in alto, più in alto! lo zio lo accontenta quattro o cinque volte mentre la nonna grida attento, attento! ma si vede che è felice e soddisfatta dalla virilità del figlio, che in confronto alla mia figura grigia rifulge ancora di più. al sesto sollevamento però il bambino giunto all'apice allunga involontariamente un calcetto sul naso dello zio, proprio nella narice. l'uomo per poco non lo molla, mentre mastica un riconoscibilissimo mannaggia giesucristo.

il padre del bambino l'avevo incontrato anni prima, quando non era ancora il padre. me lo ricordo vestito da giovinastro, coi pantaloni bassi, la maglietta da pallacanestro e il cappellino di due misure più piccolo. l'ho incontrato anche dopo i fatti che racconto ed era molto cambiato, portava i capelli con la brillantina e aveva i baffetti. gli stavano anche bene perché aveva sempre avuto un po' l'aria del torero, era scuro di carnagione e nerissimo di capelli, che aveva invidiabilmente folti. per quel poco che so di lui, era un bravo ragazzo. tendeva un poco al bere, anche per via del suo lavoro, e aveva combinato qualche guaio di sciagurataggine, ma mi sembrava una persona gentile. mi dissero che era affettuosissimo con il figlio, ma siccome gli piaceva troppo la figa non era considerato affidabile.
devo aggiungere che, contrariamente al solito, l'ex moglie non disse mai una parola contro di lui.

in seguito scoprii che la donna aveva avuto problemi molto più seri del marito, ma siccome veniva da una famiglia borghese, e lui proletaria, ed era più intelligente di lui e più istruita, tra i due il soggetto dubbio pareva lui, mentre era innegabilmente lei la più pericolosa.
fisicamente il bambino somigliava parecchio al padre: bruno, occhioni neri, capelli neri, labbra tumide. dalla madre aveva preso il naso e una certa tendenza alla simulazione. durante i fatti che dico mi capitò, uscendo sulla terrazza, di vedere due cani di media taglia nel giardino. il profilo psicologico del bambino faceva sospettare il tratto classico delle personalità disturbate, cioè la crudeltà verso gli animali. per verificare chiesi alla nonna come si trovava il bambino coi cani e lei disse subito ma figurati, sono buonissimi! cosa di cui non dubitavo.

ma adesso torno indietro, al momento in cui lo zio rimediò un colpetto alla narice.
mentre l'uomo si massaggiava il naso il bambino rideva deliziato, ma tutti i bambini quando qualcuno si fa male ridono e poi stavolta non era colpa sua. lo zio comunque era uomo d'onore e quel dolore breve ma acuto non gli tolse del tutto l'uzzolo di giocare il minore. se lo portò in terrazza, dove li seguii, e viste altre girelle plastica pensò bene di staccarle dai vasi per usarle come spade. lui e il bambino cominciarono a schermagliare e ogni volta che lo zio alzava la guardia per cercare di disciplinare in qualche modo il gioco, il bambino lo colpiva sulle gambe con la girella, con forza tale che alla quinta botta l'aveva rotta.
allora lo zio ebbe un'altra idea. con la girella superstite in mano, cominciò a ruotare su stesso urlando guarda come gira! il bambino prese ad imitarlo e dopo qualche giro perse l'equilibrio, cadendo sulle sue stesse gambe.
steso a terra, preda della vertigine, esaltato e impaurito dal mondo che continuava a girare, il bambino sembrava sul punto di imparare qualcosa quando la sua energia diabolica lo fece alzare di nuovo. si guardò intorno cercando lo zio ma era sparito, era rientrato in casa per parlare con la sorella, e tutto quello di vivo che restava all'orizzonte ero solo io.
lo zio, penso solo adesso, era un'altra parte integrante della sua mala educazione. arrivava, lo sfrenava, lo innalzava e poi spariva. anche lui come la nonna non era tenuto a convivere col bambino ma diversamente da lei non ne esaltava le presunte doti civili, bensì quelle animali, esattamente come fanno certe persone col tuo cane: lo girano, lo voltano, lo aizzano e infine lo lasciano con la lingua penzoloni a guardarsi intorno. il bambino era un giocattolo a molla che lo zio caricava e spediva a roteare sul pavimento, veloce, sempre più veloce, finché non se ne stancava. da un punto di vista politico lo zio somigliava a quelli di potere al popolo, tutti canti, balli e putipù. il bambino era la sua massa, così facile all'entusiasmo e, volendo, anche alla violenza, che una volta ogni tanto andava agitato per fargli fare la schiuma. ma tutte quelle piroette, gli slogan e le grida erano più un gioco dello zio che del bambino e finita l'esibizione restavano solo la puzza di sudore e l'attesa della prossima esplosione, che sarebbe stata quella buona, quella veramente bella, e che non veniva mai.

la madre era quindi tornata dalla preparazione della borsa per il mare e pareva che l'averla imbottita come in vista di un naufragio l'avesse riconfortata. ci aveva messo dentro gli affari che raffreddano, tre litri d'acqua di cui uno frizzante, perché il bambino non beveva che quella; quattro panini prosciutto cotto e galbanino, perché il bambino mangiava solo quelli; sei succhi di frutta in bric ai gusti disparati, perché in questo campo il bimbo presentava un'accentuata volatilità, e non si poteva mai sapere prima che gusto avrebbe tollerato. poi c'era la frutta, indispensabile al benessere psicofisico: pesca, pera, more, e per distoglierla dall'infilarci dentro anche un quarto di anguria ci volle del bello e del buono. l'estatè alla menta viaggiava a parte, perché il bambino non doveva vederlo altrimenti si sarebbe ingolosito di roba poco salutare. completavano il tutto piatti, posate e bicchieri di plastica in numero sufficiente ad allestire le mense su un barcone di migranti, oltre a tovagliuoli colorati, apriscatole combinato con altri utensili, una bottiglietta di vetro vuota per ogni evenienza, casomai avessimo avuto bisogno di una lente per accendere il fuoco sull'isola deserta verso cui eravamo diretti.

a quel punto erano le undici e mezza passate e raggiungere il mare appariva semplicemente chimerico. il cielo inoltre cominciava a scurirsi.

in un quarto d'ora raccogliemmo finalmente baracca e burattini e partimmo. non verso il mare, ovviamente. c'era una piscina nei pressi, ci andammo.
per qualche ora sorrisi di continuo mentre cercavo goffamente di giocare col bambino.  prima non volle i braccioli, poi dopo un quarto d'ora di lotta non c'era più verso di farglieli togliere, anche se la piscina dei bambini era profonda trenta centimetri. fece un casino del diavolo per avere la pistola ad acqua di un altro bambino e con quella disturbò tutti gli anziani e gli handicappati che non erano abbastanza lesti a scappare. c'erano lì altri dieci bambini, tra i quattro e gli otto anni, tutti piuttosto educati, e nel giro di un'ora lui riuscì a portarli a un grado tale di parossismo che correvano tutti insieme intorno alle casette di plastica con gli scivoli lanciando urla demoniache e calpestando i più piccoli. riuscì persino, non si sa come, a scalare la giostra più alta gettando nel panico il bagnino. verso le cinque di pomeriggio io ero stremato solo a guardarlo e lui non dava il minimo segno di stanchezza. con sua madre scambiai forse dieci parole. quel che aveva dovuto fare era troppo contrario ai suoi istinti e benché non dicesse neanche una sillaba era chiaro che non mi avrebbe mai perdonato.

successero molte altre cose. molte erano già successe. tutto quello che ho scritto è solo un millesimo di ciò che accadde. ci furono molte più parole, molti più fatti, che non ricordo o che impiegherei mesi a scrivere. poche ore non si lasciano trascrivere, è sempre lo stesso problema, è tutto troppo veloce, troppo profondo, complicato, per essere scritto, e costa una tale fatica. ricordo solo che verso la fine la madre si adirò, non so più per quale scostumatezza del figlio, e dopo il solito profluvio di minacce stavolta ce ne andammo davvero.

il fatto che una minaccia finalmente si realizzasse sembrò stupirlo. contrariato, attraversò il viale guardando in basso e mormorando qualcosa. forse stava ripetendo ancora una volta la sua regola, che nella vita bisogna fare le cose buone ai bambini, oppure semplicemente rimuginava su quella giornata così istruttiva. io e sua madre camminavamo a fianco. non so per quale motivo, negli ultimi metri prima della macchina ci eravamo presi per mano. fu come una specie di ultima speranza, inutile come le altre. in quel momento arrivò lo zio ed ebbi l'assurda impressione che ci avesse seguito. invece no, la donna l'aveva chiamato perché li venisse a prendere. facciamo così, disse, così non devi fare il giro e puoi andartene direttamente a casa. le dissi va bene e ci baciammo sulla guancia. con la coda dell'occhio vidi il bambino dietro di me. indolentemente, quasi per caso, con una pietruzza mi stava rigando la fiancata.

 

scotto