Masneri allo Strega

La modernità è arrivata a casa Bellonci. Nel secondo Strega dell’èra renziana, la novità principale non è solo il sistema di voto, tipo Italicum della letteratura, che snellisce le procedure e aggiunge rappresentanza. No, più moderni ancora sono i grandi neon fatti issare nei saloni (o meglio tinelli) nostalgici nell’appartamento dei Parioli rombanti in via Panama. Neon proprio industriali, e in quantità, fatti mettere ai soffitti, che illuminano adesso di luce azzurrina e sberluccicante, come di carrozzeria o sala operatoria, l’orrore che in altri anni si era solo intravisto. Nell’epoca renziana dei led, la modernità del neon si catarifrange sullo Strega e in particolare sulla “cinquina”, rito di pura cognizione dell’orrore che inizia ancor prima d’essere entrati in questa casa, poi Fondazione, Bellonci.

L’odore di morte comincia già in questo ascensore di legno che sale su, lento, bofonchiante, in una tromba di scale sontuosa anni Quaranta perfetta per suicidi da telefoni bianchi. Al quarto piano, superata la selezione (altra novità di questa edizione) quest’anno la temperatura è ancora più insopportabile: nell’ingresso di graniglie industriali, ecco gli autori e i nugoli di uffici stampa col capello sfibrato, ecco soprattutto anziani e anzianissimi. Non molto signorili, non tutti. Che odore è? Forse naftalina, oppure tutti questi vecchi libri, insieme alla cucina non lontana. L’odore dei libri dei vecchi? Un afrore animale, ti sale al naso, ti gira la testa, forse bisognerebbe dotarsi di Vicks Vaporub come per le autopsie. “E’ l’odore dell’umanità”, mi dice Ludina Barzini costernata e ancorata a una stufa di muratura, tipo quelle stufe di cucina economica che avevano i contadini in Emilia Romagna (ma questi Bellonci, nonostante i numerosi bestseller a tema medievale di lei, non dovevano passarsela benissimo, pur tra i Mafai e i Morandi e tavoli fratini, tutti ugualmente tarlati). Ma restiamo aggrappati alla stufa per non farci trascinare dal flusso di corpi; bisogna fare soprattutto attenzione a certe anziane larghe e basse che ti calpestano a tradimento, dato che non le puoi vedere, te ne accorgi solo quando è troppo tardi, quando senti un fatale abbraccio tipo alghe o mucillagini strusciarti addosso (niente a che vedere però con le famose Nane dello Strega; quelle curatissime che stanno sedute solo fuori in terrazzo, non vengono neanche alla finale, a Valle Giulia, è una nicchia molto selettiva e misteriosa).

Sotto di noi però ecco queste ricrescite allarmanti; riportini da coiffeur jugoslavi; tinture di capelli in palette e pantoni scomparsi in occidente da decenni; bottoni-gioiello e scollature da Copacabana su signore che forse andavano a scuola coi Bellonci; e poi questo catering feroce che si snoda tra corridoi stretti, con queste librerie e scaffali e tappezzerie e fili elettrici non a norma che trasudano per il calore e la troppa folla, mancano solo specchi da cui spunta fuori Clara Calamai con un’accetta tipo “Profondo Rosso”. Ecco che avanzano camerieri con facce da tagliagole e vassoi minacciosi, e non si ritraggono al passaggio, anzi. Qui Fantozzi meets Dario Argento: è la scena della polenta a Courmayeur, se non indietreggi tu, il catering corpulento non lo farà, rischi non di cader nel pentolone ma di venir decapitato da questi vassoi in silverplate contenenti desolati tramezzini tipo Itinere-Frecciarossa, ma secchi, con quella caratteristica secchezza del pan carrè che si alza e arriccia ai vertici, tipo stella di mare che si essicca spiaggiata.

I camerieri poi sono di una razza che si credeva estinta, ti guardano male, dicono tra loro ma facendosi sentire “ahò ma quando se ne vanno, questi”; un altro anziano e tinto sta in un altro salottino, in cui si segue su un monitor marca Samsung lo spoglio (altro tocco di modernità), offre vini rossi robusti (con trentacinque gradi), il solito cocktail Strega e che nessuno vuole mai, e dei finger food modernissimi in vasettini tipo mini-Bormioli, incongrui al contesto, e appannati, con le ditate sopra.

Ma la stanza, anzi il tinello dei bottoni, ove lo spoglio “live” avviene, è più in là, in uno stanzone finalmente raffrescato, con due condizionatori marca Daikin arrivati anch’essi quest’anno; l’escursione termica tra le stanze è sui trenta gradi, causerà influenze, forse decessi, vista l’età media. L’aria climatizzata accarezza gli arredi neorinascimentali di Goffredo e Maria Bellonci, un ritratto della padrona di casa di Leonetta Cecchi Pieraccini, moglie cattiva d’Emilio Cecchi, una foto con dedica dei Parise, un gran parquet lisca di pesce che andrebbe molato, e soprattutto un angolo “stampa” con tre poltroncine da regista bianche con scritto rispettivamente “riservato RAI”, “riservato ANSA” e riservato “ADN-Kronos”, con inviate di mezza età che scartocciano cioccolatini Strega come i vecchietti di “Youth” di Sorrentino le caramelle Rossana. Però qui, nel salone-tinello climatizzato ecco soprattutto questo Italicum dello Strega, il sistema di voto multiplo con ripescaggio di “lettori forti” probabilmente in quota Civati. Tutti son già rassegnati (“faremo notte”), mentre alle 21,50 il relatore disintermediatore Francesco Piccolo come una Maria Elena Boschi proclama soddisfatto il primo classificato (Nicola Lagioia, Einaudi) e gli altri quattro finalisti. A quel punto, le autorità vanno a cena al Ceppo, ristorante pariolo di moda negli anni Sessanta, forse preferito dalla Bellonci o dai suoi genitori, e la pressione dei corpi si scioglie per un attimo.

Ogni tanto si apre anche una porticina, è un bagno; dentro, piastrelle anni Cinquanta, sapone liquido tipo Felce Azzurra. In bagno ci si infila anche per trafugare – è il consiglio e la passione dei veterani della Cinquina – alcuni volumetti fondamentali, che sono qui alla mercé di anziani e giovani che strusciano nei corridoi e gli appoggiano sopra bicchieri di vino, lasciando anche “cerchi”; “Vai di là, ci sono gli Arbasino”, “qui, la Pléiade, presa l’anno scorso”, dice un esperto, “te li infili nei pantaloni in bagno e poi esci, io ne ho presi diversi in questi anni”. Io, poco convinto, vado verso gli Arbasino che non si trovano, ecco però tutti i Saggi Einaudi col dorso rosso; i Centopagine sempre Einaudi, e poi la biblioteca di Paragone, insomma un piccolo paradiso del bibliofilo. Ecco una prima edizione de “La meglio gioventù”, pare uno scherzo. Con dedica a penna blu: “A Maria e Goffredo Bellonci, con l’affettuosa devozione di Pier Paolo Pasolini”. Non ho davvero il coraggio di sottrarlo, e poi c’è un signore che mi guarda, mi dice “lasci, ci penso io”, e lo rimette al suo posto, è Stefano Petrocchi, eroico direttore della Fondazione Bellonci. Spero non si sia accorto del mio tentativo di furto ancorché riluttante, lui sospira, “sono ventitremila, per adesso ne abbiamo catalogati solo undicimila”, e sta lì di persona a controllare che nessuno se li inguatti, i libri dei vecchi. Poi va via, e si va via anche noi, ma nessuno chiude le porte, i tinelli dello Strega rimangono aperti, e giù dalla strada si vedono queste finestrone all’ultimo piano che risplendono di questa luce azzurra dei neon, la luce della modernità.