lo dice la scienza

lo dice la scienza
Un'obiezione che tipicamente mi viene mossa sui più disparati argomenti è la seguente: se la stragrande maggioranza degli scienziati ed esperti del settore la pensa in un certo modo, chi sei tu per affermare il contrario? Ora, a prescindere dal merito delle singole questioni, vale forse la pena affrontare qui un problema più generale di filosofia e sociologia della scienza.
Al di là del fatto che su nessun tema vi è davvero consenso unanime e monolitico da parte della comunità scientifica, la prevalenza di una certa posizione tra gli "esperti" non può mai essere brandita come argomento in sé in favore di quella posizione, perché (a meno che non si voglia abbracciare un positivismo fuori tempo massimo estremamente naif, che non reggerebbe a un esame neanche sommario della storia della scienza) il consensus scientifico/accademico non sgorga spontaneo come acqua sorgiva, ma è il prodotto di un certo contesto sociale, economico e culturale, e più in generale il sapere non è mai neutro ma sempre radicato in una complessa rete di relazioni e conflitti di potere. Come sosteneva Feyerabend, una verità scientifica è tale solo all'interno del paradigma che la produce, fuori dal quale smette di avere validità, e così come noi oggi guardiamo con un sorriso alle presunte verità scientifiche del passato anche recente, lo stesso faranno i posteri nei confronti dei nostri postulati odierni, a meno che non vogliamo pensarci come depositari delle verità ultime e credere di essere giunti al capolinea della conoscenza dopo il quale non resta più nulla da scoprire, di essere insomma l"ultimo uomo" anche dal punto di vista teoretico.
Ma c'è di più: non solo il consensus scientifico e accademico è figlio di credenze parziali e pregiudizi destinati a essere superati in futuro, di un "episteme" tra gli altri direbbe Foucault, ma esso è anche facilmente producibile e orientabile attraverso incentivi economici e pressioni sociali: se tutti i fondi vengono stanziati su ricerche che vadano in una certa direzione, non appena gli scienziati/accademici avranno fiutato l'aria che tira saranno naturalmente portati, in larga maggioranza, a instradare i propri studi entro quei binari, non solo per convenienza economica ma anche per innato spirito gregario, per scongiurare l'isolamento sociale e l'accusa di "negazionismo". Il conformismo non è certo prerogativa della gente comune, ed è forse anzi ancor più presente tra gli intellettuali, ceto iper-socializzato per eccellenza.
Del resto è proprio questa la dinamica che si osserva da anni: sui più svariati temi viene creato ad arte, attraverso finanziamenti ad hoc e pressioni più o meno implicite, un consenso scientifico prevalente, che viene poi usato per accreditare scelte politiche in realtà predeterminate, investendole di un crisma di presunta oggettività scientifica e sottraendole così al dibattito pubblico (perché un conto è presentare una scelta politica come tale, quindi come qualcosa di discutibile, di condivisibile o meno, e tutt'altro conto è presentarla come dettata "dalla scienza", dunque come qualcosa che solo un analfabeta funzionale con l'anello al naso potrebbe mai contestare).
La "scienza" non è mai stata neutra né mai potrà esserlo per statuto, storicamente è sempre stata al servizio del potere (basti pensare, ad esempio, che sotto il nazismo il "Manifesto della razza" fu firmato dai maggiori scienziati dell'epoca, e che le università pullulavano di cattedre di "scienza della razza": anche allora lo diceva "la scienza"), ma oggi stiamo assistendo a uno scarto ulteriore: essa sta diventando il randello attraverso il quale il potere impone autoritariamente la propria agenda e la rende indiscutibile.
 
FS