LAPO
Ricordo la prima (e ultima, in realtà) volta che ho incontrato e conosciuto Lapo Elkann. Facevo un mestiere terribile e decisamente ben pagato, il ghostwriter, e in quel periodo scrivevo i discorsi dei manager Fiat per le presentazioni delle nuove auto prodotte. Succede che, non mi ricordo per la convention di quale modello, mi organizzano un appuntamento in Fiat con Lapo. La segretaria mi dice di attendere sulla panchina del lungo corridoio marrone scuro su cui affacciano le porte dei vari uffici. La Fiat è, era l' "Azienda", quella con la A maiuscola, l'archetipo di tutte le aziende, quella vagheggiata e così bene raccontata da Paolo Villaggio nei libri di Fantozzi con i dirigenti, i quadri, gli impiegati, eccetera, divisi per caste sociali, privilegi, umiliazioni e arredi d'ufficio. Insomma, sono lì che aspetto e dopo un quarto d'ora vedo venirmi incontro a passo baldanzoso un giovane eccentrico, vestito con un abito verde a quadroni, occhiali giganti e un sorriso buffo. Non mi dà la mano, mi abbraccia e mi dice "Ciao, sono Lapo, tu chi sei"? Mi presento, gli spiego le motivazioni della mia presenza e mi fa accomodare nel suo ufficio che, vi giuro, non era un ufficio, ma la cameretta figa di un ragazzino di quattordici anni, con i poster dei calciatori, il cappello e la mazza da baseball appese al muro, modellini di auto sulla scrivania. Poi mi dice "Scusa, mi assento un attimo, torno subito" e scompare. Io sto un po' lì nell'ufficio e, non vedendolo rientrare, esco per sgranchirmi le gambe nel lungo e tetro corridoio. Dopo un'altra mezz'ora lo vedo di nuovo venirmi incontro, sempre a passo baldanzoso, mi abbraccia e mi dice "Ciao, sono Lapo, tu chi sei?".
Da lì è diventato il mio migliore amico immaginario e qualunque pasticcio combini gli vorrò sempre molto bene.
Federico Sirianni
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