La coup des Dardennes
C’era grande attesa per il ritorno a Cannes dei fratelli Dardenne, che al Festival hanno partecipato numerose volte ottenendo i riconoscimenti più importanti, tra cui ben due Palme d’Oro per «Rosetta» nel 1999 e per «L’enfant» nel 2005. Anche quest’anno sono sulla Croisette con la loro ultima fatica, «La Coup des Dardennes», tradotto impropriamente in Italia come «La colpa dei Dardenne». E in effetti si tratta di un’opera più scritta e narrativamente articolata di altre dei due registi, che non rinunciano però neanche stavolta al loro sguardo lucido e al loro stile essenziale, scarno e rigoroso, concentrato sui personaggi e sui loro drammi.
La storia narra di una coppia di coniugi albanesi che vive in un misero appartamento alla periferia di Liegi. Lui, muratore in nero sottopagato, obnubilato dal peso del lavoro, non ha tempo di riflettere sulla condizione di totale emarginazione mentre lei, disoccupata, diviene la coscienza critica della coppia e vorrebbe cercare di penetrare una società che li sfrutta respingendoli.
Un giorno, in metropolitana, legge su Le Soir la critica entusiastica dell’ultimo film dei Dardenne, decide di convincere il marito a vederlo, per finalmente elevare la loro condizione sottoproletaria attraverso l’autocoscienza del loro stato, e per procurarsi i soldi dei biglietti non pesando sul bilancio familiare si prostituisce al capomastro del cantiere, all’insaputa del compagno, come già aveva fatto per ottenere il passaggio dagli scafisti ed entrare in Belgio.
Ottenuti i biglietti, come nel caso dell’immigrazione clandestina, lo scontro con la realtà è ancora una volta deludente: il film per i due è deprimente, incomprensibile, inconcludente, perché il sistema li promuove, a chi piacciono? Che senso ha lavorare per poi al sabato sera andare a vedere bidoni simili?
La donna piange nella notte, sola più che mai nella sua sconfitta, ma la caduta è ancora più rovinosa: poco dopo scopre di essere rimasta incinta, il capomastro le chiede di abortire altrimenti licenzierà il marito, che informato della vicenda cerca vendetta contro la causa di tutte le sue disgrazie, i maledetti Dardenne.
Intraprende un viaggio fino a Bruxelles per conoscere il recensore di Le Soir, e così si rende conto di come tutto il sistema di cultura capitalistica di sinistra si basi su una concezione fideistica: nessun recensore de Le Soir ha visto il film, il giornale si è limitato a pubblicare quanto giratogli dall’ufficio stampa, il successo dei Dardenne è alimentato dalla lobby radical-chic cui servono per autoalimentarsi, ma non esiste nessun valore sottostante.
Così Bruno intraprende l’ultimo viaggio per tornare a casa e conoscere i registi che sono causa della sua disgrazia: si presenta loro, racconta la sua storia, e l’ultima scena ritrae i due fratelli registi, con tanto di telecamera spalla, questa volta spenta, che parlano con Bruno in bar di quella periferia di Liegi che tante volte hanno ripreso, senza che si capisca se cercheranno di aiutarlo o utilizzeranno il prosieguo della sua storia per un ennesimo film, lasciando anche questa volta in sospeso la risoluzione dei conflitti.
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