l'ultimo giorno della mia prima volta a new york
l'ultimo giorno della mia prima volta a new york ho perso un ragazzo conosciuto a central park. è una storia che non si può quasi più raccontare perché già si faceva fatica a raccontarla allora, guarda ero nel parco la mattina, ho conosciuto questo ragazzo vestito di nero che si faceva girare addosso delle sfere di vetro come bowie in labyrinth, finito lo spettacolo mi ha chiesto se avevo già fatto colazione, gli ho detto che era il mio ultimo giorno a new york e si è offerto di scortarmi in giro, siamo tornati a central park dove i vecchi giocavano a scacchi e mi ha raccontato che a undici anni se n'era andato di casa, aveva una sorella a reno, sua nonna gli aveva tatuato delle ali sulla schiena, continuava a tirarsi le maniche sulle braccia perché aveva delle cicatrici lunghe e viola che spuntavano ai polsi. era quasi analfabeta ma sapeva tantissime cose a memoria, avrebbe dormito a central park fino a settembre o comunque finché non fosse stato troppo freddo, con i soldi che tirava su esibendosi offriva la cena agli altri barboni del parco. ora chiunque abbia un po' di senso della narrazione capisce bene che non siamo neanche a metà ed è già un pessimo film di jeunet e leconte coadiuvati da un de gregori che si è sparato la melassa in vena. ma continua peggio, eh. perché al calar del sole eravamo sul ferry per staten island, quello gratis che passando si vede lady liberty, e lui ha tirato fuori l'unica coperta dallo zaino e prima di mettermela addosso l'ha annusata per sentire se puzzava; perché poi siamo tornati con l'ultimo ferry e ci siamo baciati e stretti a central park di notte, sulla collina dei ciliegi; perché verso le quattro stavamo comprando bicchieroni di caffè da bere sul bordo del marciapiedi guardando la condensa dei tombini; perché verso le sei ci siamo addormentati uno sulla spalla dell'altra in metropolitana e verso le sette, mentre facevamo l'ultimo tratto di strada, lui dal nulla ha detto sai, ha detto, non riesco a pensare a una sola ragione per cui io e te non dovremmo stare insieme sempre. resta, ha detto. ti costruirei delle ali da fata (JEUNET LECONTE DE GREGORI PORCO CAZZO) e ce ne andremmo dove vogliamo, potremmo spostarci in autostop insieme al sole, dimenticarci dell'inverno, poi se un giorno dovessimo stufarci di andarcene in giro potremmo fermarci da qualche parte, io so fare mille lavori sai? poi... poi... non ci arrivavamo neanche a parole al poi. aveva ventitré anni, io ne avevo ventiquattro e qualcuno che mi amava e che mi aspettava a casa. allora se cambi idea, ha detto, mi trovi a central park fino a settembre. ha camminato fino all'angolo, si è voltato, ha fatto un inchino (PORCO CAZZO) ed è sparito per sempre. così ci pensavo stamattina, a quanto mi sono mangiata le mani perché non c'era modo di ritrovarlo, e per la prima volta in sedici anni ho provato un'infinita gratitudine per il fatto di non avere - in questa maledetta era dei social - nient'altro che ricordi di chi ha formato il mio concetto di coraggio, di libertà e di addio.
Micol Beltramini
- Tags: new york, una settimana da stronzo