Internet ha cambiato tutto

La Verità intervista Roberto D'Agostino

Ti spaventa l' ondata populista?

 «È una conseguenza della rivoluzione internettiana. Tutto ciò che ha travolto il mondo è dovuto alla Rete. Barack Obama ha vinto con Facebook, Donald Trump con Twitter, idem per la Brexit e per Jair Bolsonaro in Brasile. Noi abbiamo un movimento politico nato da un mouse grazie a un comico. Una volta Paolo Mieli mi disse che internet è come un borsello: una moda passeggera. Invece ha cambiato tutto: lavoro, politica, sesso, famiglia».

Non ce ne rendiamo conto fino in fondo?

 «La rivoluzione tecnologica che stiamo vivendo è paragonabile all' avvento della stampa a caratteri mobili di Gutenberg, quando la conoscenza si trasferì dagli imperatori al popolo, innescando poi il Rinascimento. Allo stesso modo, da quando l' informatico inglese Berners-Lee ha inventato il Web, è caduto un altro muro: ora si è sollevata la polvere e non siamo ancora in grado di mettere a fuoco il futuro».

 Quali sono le opportunità?

 Internet ti dà la possibilità di uscire dalla folla: dal noi all' io. Prima tutte le espressioni culturali erano imposte dall' alto: il cinema, l' arte, la politica. Oggi si è ribaltato tutto: non ci sono più i tg e i giornaloni, quelli che fanno cadere i governi e dettano la linea. Siamo tutti attivi, anzi interattivi: hai il tuo sito, il tuo profilo, e dici quello che vuoi».

  Spesso esagerando.

 «Certo, i social possono essere cattivi, volgari, maleducati, ma quello è solo un problema di assestamento: i grandi cambiamenti mica si completano dalla mattina alla sera. Sicuramente è una rivoluzione che sconvolge anche il linguaggio televisivo. Pensiamo a Netflix: in pochissimo tempo ha reso quasi irrilevante il vecchio sistema hollywoodiano. Quindi provo a fare una tv contemporanea, mentre quella di oggi è ferma al Novecento».

 È difficile intercettare le nuove generazioni?

 «Ho un figlio di 23 anni, fa parte di questa generazione zeta che è stata svezzata dai videogiochi, più che dalla tv. Me ne occuperò nella prima puntata di Dago in the Sky. Ci siamo mai chiesti perché l' industria dei videogame ha un fatturato superiore al cinema e alla musica messi insieme? Non è più nicchia, ma mainstream».

Come mai?

 «Perché nell' arte del videogame ci trovi dentro tutto: design, musica, cinema d' animazione, arte surrealista. Ed è un' espressione della contemporaneità, perché richiede interazione, e anche il coraggio di prendersi dei rischi, tra cui quello di perdere la partita. È un romanzo di formazione della vita».

 Con Dagospia sei stato tra i primi ad aver intuito le potenzialità della rete.

 «In effetti l' ho fondato nell' anno 2000. Quando non esistevano Google né i social network. Mi dicevano che ero sfigato perché scrivevo cose sulla rete e non sui giornali. Mi davano del fallito. Oggi tutti sono costretti a fare come me, se vogliono essere influenti».

Sesso e politica sono ancora legati?

 «Sì, ma non dovrebbero. Da Kennedy, a Mitterrand, a Kohl, chi ha accostato le due cose ha avuto una fine ingloriosa. Da questo punto di vista il buon politico dovrebbe fare davvero il democristiano».

 E intanto Alessandro Di Battista, che fine ha fatto?

 
«Il Che Guevara de Roma Nord? Ha fatto così tanti danni che l' avranno rispedito in Guatemala a giocare a calcetto. È chiaro che se stiamo tra amici, al bar, possiamo recitare la parte di Lenin e cambiare il mondo, ma la Realpolitik è un' altra cosa».
 

Dicevi che Matteo Renzi sarebbe tornato a Rignano «a giocare a flipper con Luca Lotti».

«Il problema di questi ragazzi baldanzosi è che pensano che il potere sia a Palazzo Chigi. Mentre il potere vero ce l' ha la macchina dello Stato, cioè quelli che ti spediscono a Palazzo Chigi, o alla Rai, o a Fincantieri. Per dire: se Renzi piazza un vigile urbano di Firenze all' ufficio legislativo della presidenza del Consiglio, prima o poi lo fanno fuori. Lui poteva ascoltare certi segnali, ma ha tirato dritto: se l' è cercata».

 Ti sei fatto più amici o più nemici?

 «Sai, è difficile oggi coltivare rapporti profondi. Un amico è un fiore che devi innaffiare ogni giorno. È come uno sposalizio. Quindi per me due o tre amici, autentici, bastano e avanzano. Poi ci sono anche i nemici, quelli che spesso vado a punzecchiare: ma d' altronde se avessi cercato l' amore a prescindere non avrei fatto questo mestiere».

 E quindi tra dieci anni sarai ancora qui ad intercettare i rumors?

 «E che ne so. Ho già 70 anni. Chi lo sa se starò ancora qua e in quali condizioni. Per avere l' energia giusta, non basta mica il codino e il tatuaggio».

 A proposito, da dove arriva questo look?

 «Sono sempre stato intriso di cultura beat, il mio idolo era Keith Richards dei Rolling Stones. Gli anni 60 erano un periodo formidabile: ogni giorno usciva un disco, un film, un libro pazzesco. Oggi vai al cinema e in libreria, e non trovi mai nessuna novità. Abbiamo esaurito la creatività. Siamo tutti occupati a smanettare con la tecnologia: l' unica cosa che leggiamo sono i libretti d' istruzioni».

 Perché dici che Dagospia ti ha messo «la panna sull' esistenza»?

«Perché con quel sito la mia vita è cambiata. Ho compreso i miei errori, dovuti alla mancanza di volontà. Ho compreso che è inutile vantarsi delle proprie qualità se poi non le metti sul tavolo e inizi a lavorare. Ho compreso che è troppo facile lamentarsi e dare la colpa agli altri. Insomma ho trovato il coraggio di essere autarchico. Non è stato facile: ma del resto quelli che realizzano un' impresa non vanno mai in discesa, no?»