gli aforismi di leo longanesi

Esistono tipi che assumono una personalità soltanto al telefono. (Milano 10 marzo 1947)

 

Il contrario di quello che penso mi seduce come un mondo favoloso. (Milano 12 maggio 1948)

 

La mia fantasia si è inceppata: ho bisogno di un piccolo dispiacere. (Milano 14 dicembre 1948)

 

I deputati della maggioranza democristiana pensano in gruppo; procedono tenendosi per mano come i cordoni della forza pubblica. (Milano 16 ottobre 1949)

 

C’è una sola grande moda: la giovinezza. (Milano 24 novembre 1949)

 

Cercava la rivoluzione e trovò l’agiatezza.

 

Sul Giornale di Trieste, un Tale scrive cose senza senso a proposito del mio libro. Ma, a un tratto, gli sfugge questa battuta: “L. dice sempre il vero, mai la verità”. Non è male. (Milano 11 ottobre 1950)

 

Ci stivamamo tantissimo e ci annoiavamo tantissimo (Milano 11 ottobre 1950)

 

L’italiano non lavora, fatica. (Roma 1 luglio 1953)

 

Il piacere di dispiacere a chi si vuol far piacere (Milano 5 agosto 1953)

 

“Le belle lettere d’amore si scrivono a chi non si ama” dice A. “Io stesso, che ne ho scritte tante, quando sono davvero innamorato, ricopio quelle vecchie, scritte a donne di cui non mi importava un granchè.

 

“Senta: le sue idee sono troppo chiare e precise. Ritorni un altro giorno, con più confusione in testa, con più estro. “

 

Siamo uniti da una reciproca antipatia che non riusciamo a sfogare. (Milano, 22 novembre, 1954)

 

I generali non sanno che le battaglie le vincono gli storici.

 

La domenica è il giorno in cui ci si propone di lavorare anche la domenica.

 

Creda a me: non creda a nulla. Se le religioni fossero molto chiare perderebbero, coll'andar del tempo, i credenti.

 

Alla manutenzione, l'Italia preferisce l'inaugurazione.

 

Ci si conserva onesti il tempo necessario che basta per poter accusare gli avversari e prendergli il posto.

 

Non bisogna appoggiarsi troppo ai princìpi, perché poi si piegano.

 

L'amore è l'attesa di una gioia che quando arriva annoia.

 

I debiti di riconoscenza si pagano entro le ventiquattro ore con l'antipatia.

 

Non comprate quadri moderni: fateveli in casa.

 

I ricordi si interpretano come i sogni.

 

La virtù affascina, ma c'è sempre in noi la speranza di corromperla.

 

Dice C. “Non è che io l’ami. E’ che non riesco a guarire dall’abitudine di amarla.”

 

La virtù affascina, ma c’è sempre in noi la speranza di corromperla.

 

Mentivo, ma il personaggio che rappresentavo era sincero.

 

“Soltanto le donne stupide ispirano; perchè ci irritano” dice A.

 

Incontrato ieri sera il solito cronista mondano povero, con le scarpe risuolate, che segnava sul notes i cognomi dei notabili con l’aria di chi stende un elenco di pignoramento.

 

Al cocktail dell’albergo Continentale. Le signore sorridevano, mostrando i fili di prosciutto rimasti impigliati tra i denti.

 

“Vorrei qualcosa di diverso, ma che non fosse troppo diverso da quello che credo possa essere diverso” dice la contessa D.

 

Abuso di potere, mitigato dal consenso popolare: ecco l’ideale della nostra democrazia.

 

Non credeva in Dio, credeva nella comodità di credere in Dio.

 

L’italiano: totalitario in cucina, democratico in parlamento, cattolico a letto, comunista in fabbrica.

 

Un vero giornalista: spiega benissimo quello che non sa.

 

Quando potremo dire tutta la verità non la ricorderemo più.

 

Ma è anche vero il contrario.