Essere Michel Houellebecq
“Per guardare il mondo bisogna esserne esclusi, poiché l’esclusione produce uno sguardo oggettivo”.
Repubblica, 2016.
“Provo un piacere assoluto nel leggere guide di viaggio, soprattutto le Guide Michelin, e leggere le descrizioni di luoghi che probabilmente non visiterò mai. Passo gran parte della mia vita a leggere descrizioni di ristoranti”.
The Paris Review, 2010.
“Credo sinceramente di avere esaurito gli argomenti. Prendiamo proprio la sessualità. Ormai l’ho descritta in ogni modo, non penso sia più il caso di entrare in una questione artisticamente già chiarita. Sarebbe pura ripetizione, manierismo”.
Il manifesto, 2010.
“Le ultime pagine dei Fratelli Karamazov: non riesco a leggerle senza piangere, anzi, non riesco nemmeno a pensarci senza mettermi a piangere”.
The Paris Review, 2010.
“È strano, ho cinquant’anni e non ho ancora capito se il sesso sia una cosa buona o no. Ho anche molti dubbi riguardo al denaro”.
The Paris Review, 2010.
“Il nucleo della famiglia sta scomparendo, e questo può essere spiacevole. Potremmo dire che la sua scomparsa porterà a un aumento della sofferenza umana. Ma spiacevole o meno, non c’è niente che possiamo farci. Questa è la differenza tra me e un reazionario. Non ho alcun interesse a mandare indietro le lancette dell’orologio, perché non credo sia possibile farlo”.
The Paris Review, 2010.
“Penso che sarei potuto essere uno dei migliori psichiatri del mondo, perché quando ascolto le persone do l’impressione di non giudicarle. Il che non è vero. A volte sono scioccato da quello che mi raccontano. Solo che non lo do a vedere”.
The Paris Review, 2010.
“Quando sento qualcuno evocare il populismo so che in fondo quella persona è contraria alla democrazia”.
Corriere della Sera, 2017.
[Alla domanda se pensasse alla vecchiaia, ndr] “È la vecchiaia che pensa a me, al mio posto”.
Il Giornale, 2010.
“Hanno detto che io ce l’ho con gli arabi perché musulmani. Non è vero. Non ho nulla contro gli arabi, mentre non mi vanno i Paesi musulmani perché proibiscono molte delle cose che amo, come il far l’amore con le ragazze e come l’alcol. Io rifiuto i monoteismi, soprattutto l’Islam”.
La Stampa, 2001.
“Con Céline non ho nulla in comune. Con Lo straniero di Camus sì”.
La Stampa, 2001.
“I marchi sono leggende moderne. Acquistando un marchio, si compra una leggenda. La Mercedes è una bella storia, ha determinati attributi, c’è il lusso, il potere, la distanza sociale. La Kia è il Sol Levante. L’Audi significa edonismo e certo rigore tedesco. Vale per tutti i marchi”.
Il manifesto, 2010.
“L’adolescenza non è mai piacevole come l’infanzia”.
The Paris Review, 2010.
“L’arte è sempre un’aggressione. Descrivere il mondo in maniera oggettiva significa di fatto criticarlo con aggressività. La descrizione è sempre una critica. E per di più la sola efficace”.
Repubblica, 2016.
“Per un romanzo, io stacco anche per un anno o due. Da tutto. Scrivere un romanzo può nuocere anche alla vita personale. Trascuro le cure, le persone. E so che queste persone non perdoneranno”.
Il Giornale, 2010.
“Quella che è stata definita la “liberazione della donna” conveniva di più agli uomini che vi vedevano l’occasione di un moltiplicarsi degli incontri sessuali. Ne è conseguita una dissoluzione della coppia e della famiglia, cioè delle ultime comunità che separavano l’individuo dal mercato”.
Humanité, 1996.
“Penso che per la maggior parte delle persone ci sia un contrasto molto forte tra la vita universitaria, dove si incontrano molte persone, e il momento in cui si entra nel mondo del lavoro, dove in fondo non si incontra più nessuno. La vita diventa noiosa. Il risultato è che la gente si sposa per avere una vita personale”.
The Paris Review, 2010.
“Il sessantotto non significa un granché per me, non ricordo quasi niente di quei giorni, neanche dove mi trovavo. Ricordo molto meglio lo sbarco dell’ uomo sulla luna (…) Il sessantotto non è stato un colpo di stato riuscito dei giovani, ma un colpo di stato fallito del marxismo”.
Corriere della Sera, 2008.
“La conseguenza più importante de Le particelle elementari, al di là del denaro e del poter smettere di lavorare, è stata quella di diventare conosciuto anche all’estero. Ho smesso di essere un turista, per esempio, i tour promozionali per i libri hanno soddisfatto ogni mio desiderio di viaggio”.
The Paris Review, 2010.
“La possibilità di un’isola era costruito proprio sull’idea che un momento di felicità può diventare eterno. L’eterno ritorno, il carattere ciclico del tempo. Non è un’idea pazza, sa? E nulla ci consente in modo rigoroso di confutarla”.
Il Giornale, 2010.
“Mi possono odiare senza correre rischi, non sono pericoloso, non mi posso vendicare, non sono nelle giurie letterarie, non ho responsabilità nelle case editrici”.
Il Sole 24 Ore, 2010.
“Come si fa a restare vivi? Una certa megalomania può essere d’aiuto. Occorre essere convinti che la propria esistenza e le cose che si fanno siano importanti”.
Repubblica, 2016
“Se un giorno mi suiciderò, sarà non perché sarò triste ma perché di fronte a me avrò cose troppo complesse”.
La Stampa, 2001.
[A proposito del romanzo La carta e il territorio] “È molto facile prendere la distanza da se stessi. All’inizio del romanzo io e il mio personaggio siamo abbastanza simili, ma via via ci allontaniamo. Io ho un rapporto ragionevole con la mortadella e bevo un po’ meno vino del mio personaggio”.
Corriere della Sera, 2010.
“Una storia inventata è sempre più coerente della realtà, che invece non lo è quasi mai”.
Repubblica, 2016.
“Oggi c’è molta meno cultura europea di quanta ce ne fosse un tempo. Prendiamo la letteratura, per esempio. In Francia traduciamo soprattutto opere anglosassoni, e questo vale anche per il cinema e la tv, mentre a fine Settecento I dolori del giovane Werther elettrizzavano l’Europa intera”. Corriere della Sera, 2017.
“Quando i lettori confondono autore e personaggio è sempre un buon segno, significa che il romanzo è riuscito”.
Repubblica, 2016.
“Un artista deve essere libero e rifiutare l’autocensura, deve potersi esprimere senza pensare alle conseguenze, perché altrimenti non farebbe più nulla”.
Repubblica, 2016.
Repubblica, 2016.
“L’Europa nasce da troppe tradizioni diverse e non ha una lingua che la unifichi, è impossibile che possa funzionare democraticamente. Già la Francia mi sembra troppo grande, figuriamoci l’Europa”.
Repubblica, 2016.
tratto da http://www.spns.it/2017/07/essere-michel-houellebecq/
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