E bomba o non bomba, Eder
Il calcio è letteratura da sempre, anche se un tempo la gazzetta era il prodotto per il maschio preculturale o l'uomo delle palestre. Ma adesso, dopo i reportage dei vari Latronico Pacifico che poi però perdono 0-7 al torneo di calcetto, scendono in campo i campioni, quelli veri, di Visiogeist.
Nicolò Li Causi, il Gianni Mura delle pagelle, il Ryan Giggs dei tornei dei Bar, ci delizia con la sua prima pennellata, là, nel sette.
Nei miti della razza calcistica, nell'utopico raggiungimento del supercalciatore, sublimazione di tecnica e agonismo, essere un brasiliano conta ancora qualcosa. Per questo, il podio è tutto verdeoro anche in una classifica che non si bea di finezze o tattiche. Per questo nessun Rummenigge, Beckham o Gigi Riva che sia, mai avrebbe potuto insidiare tale dominio più genetico che sportivo.
Io stavo in porta ed il mio amico calciava badando solo alla potenza. Stavo in porta tra due pali di cemento rivestiti di "graffiato" e manco la vedevo partire. Avevo 9 anni, lui 11. Era l'estate del 1982. Io ero Zoff. Lui nè Maradona nè Zico. Non era Junior o Falcao. Nè Platini o Antognoni. Non Conti, non Boniek, non Allofs, non Lato, non Passarella o Socrates. A lui, a me, a noi, quell'estate, piaceva Eder.
Che non era la stella. Che non giocava e non avrebbe mai giocato in Italia. Ci piaceva perché batteva le punizioni, segnava i gol all'ultimo respiro e calciava da Dio.
175Kmh è il record imbatutto ancora oggi. In quegl'anni in Brasile c'era anche l'indimenticabile Oscar "Dinamite", con un destro pazzesco. Ma nulla a che vedere con quello spaccatraverse di Éder Aleixo de Assis, detto Eder. Io ero Zoff, lui era Eder. Il podio lo chiudono Roberto Carlos con un calcio di punizione intorno ai 164kmh e l'imperatore Adriano che, prima di mangiarsi Facchetti, toccò i 145.
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