è banale, quello che succede

"Ti sei preso una bella sbronza!” (risate)
Il tempo di fare colazione, lavarsi,
prendersi una vacanza, una laurea,
ricordarsi l’incidente sul campo
con la costola rotta, l’ospedale
& la lastra, e tutte le volte che abbiamo
scopato, le montagne sullo sfondo
smangiate da un’attività sismica
interrotta soltanto da noi due
che guardiamo nel vuoto come a cercare
i fondi da consegnare a un aruspice.
Lo vedi chi siamo? L’eredità nongenetica
che abbiamo in comune? Intolleranza
al lattosio, complessi di Elettra
rivisti alla luce dei Jefferson,
le compilation di musica reggae
in cassette Basf lasciate sciogliere
al sole… (“Dai, non mi toccare,
se non mi prometti di farlo per bene
anche domani”). La cristallina
consapevolezza che hai verso i trenta
che fare esperienze di vita
è diverso da vivere, questo lo sai,
anche se un po’ ti vergogni a ripeterlo
in giro, come a archiviare tra le foto
di Facebook quelle in cui eri ingrassata:
la prima conseguenza di ogni bontà
è che spesso non sai cosa fartene.
Ora che la tecnologia ti consente
di sbarazzarti di tutto, tu soffri
di nostalgia per le file il sabato sera,
le mani di entrambi sul cambio e il tempo
voluto di odiare qualcosa. Carta,
forbice, sasso, bacio, pistola.
(“Inizierei per smettere è come dire
rimarrei incinta solo per abortire”).
Io, io. Ci metto una settimana intera
all’incirca a collegare i puntini,
riempire gli spazi e far sì
che il percorso da un angolo all’altro
del letto non incroci barriere.
Nel frattempo, per essere chiaro,
ascoltare i singoli di mi mette
tristezza. Ho preso il New Yorker
stamattina; cercavo sulla stampa
straniera i motivi dello scoppio
della bolla relativa al connubio
tra poteri molto deboli (perché la spina
dorsale ha così bisogno di carezze?)
e le promesse fatte in dormiveglia
(come programmi elettorali
da approvare in fretta). È banale
quello che succede, è stretto.
Come un corpo sopra l’altro.
O come questo cappio del rispetto.

Christian Raimo