Buen camino - la recensione

Buen Camino di Checco Zalone sorprende fin dal primo fotogramma: ci si aspetterebbe una commedia leggera, ma ciò che si dispiega sullo schermo è un’opera dalla struttura profondamente autoriale, un bildungsroman che non si limita a trasporre il viaggio iniziatico in immagini, ma ne rideclina i codici in un quadro postmoderno in cui la formazione non approda a una sintesi, bensì a una consapevolezza inquieta e provvisoria, un’opera che destabilizza i confini tra produzione popolare e ricerca liminale.
Come notava Bazin, “il cinema non riproduce il reale, lo rivela” – e in Buen Camino la rivelazione avviene attraverso l’interferenza del comico. La risata non è un fatto accessorio, ma una frattura: un punto in cui il tessuto del mondo cede e lascia emergere ciò che sfugge alla superficie.
Metz offre una chiave ulteriore: “il cinema è un linguaggio perché non smette di voler significare”. La comicità zaloniana, traslata in questo contesto, funziona come dispositivo di significazione differita: ciò che fa ridere nell’immediato ritorna in forma di domanda dopo la risata. Il comico diventa conoscenza, o almeno ne mima il movimento.
Dal punto di vista formale, Zalone compie scelte che si distanziano dal registro che lo ha reso celebre. L’uso della macchina da presa privilegia una semantica del rallentamento: campi lunghi e piani fissi costruiscono un rapporto meditativo con il paesaggio, che diventa soglia di passaggio. È qui che emergono echi del cinema modernista, non come citazione ma come consonanza: Buen Camino sembra dialogare implicitamente con Otto e mezzo, condividendone l’indagine dell’identità come problema aperto e mai definitivamente risolto.
Di fronte a questo impianto, il riferimento a Otto e mezzo non riguarda una parentela stilistica, ma una convergenza epistemologica: entrambi i film tentano di mettere in scena l’identità come prisma, non come un dato. L’autoconsapevolezza del protagonista di Zalone non è compimento, ma accettazione del proprio carattere transitorio.
Buen Camino si colloca come oggetto di studio significativo perché tenta una riconfigurazione del comico nel panorama audiovisivo italiano: non più mero intrattenimento, ma strumento di interrogazione. Se l’opera non raggiunge sempre la piena coesione formale, è proprio in queste imperfezioni che si intravede la sua fertilità critica.
Nel complesso, Buen Camino non va interpretato come un mero cambio di genere, bensì come tentativo di risignificazione del comico nel contemporaneo. In un contesto culturale che spesso oppone intrattenimento e pensiero, Zalone sembra rifiutare la dicotomia e cercare un territorio terzo, dove ciò che diverte possa anche interrogare; un’opera imperfetta, ma proprio per questo fertile.
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