arbasino a napoli

Io a Napoli vorrei starci sempre il meno possibile. Qui basta uscire per strada e veder la gente e sentire i fetori e provar le scaltrezze perché mi venga una gran voglia di gambe lunghe fatte senza economia, gente pesante che parla con calma, capelli lavati, pelle sgrassata, unghie pulite, vestiti senza odori, birra danese, formaggi olandesi, strade senza merda, industrie efficienti, parlamenti rigorosi, civiltà magari parvenues ma prive di zozzoneria, ristoranti al primo piano con tappeti spessi per terra, pannelli di legno o di cuoio alle pareti, il suo soffitto scuro, il suo camino acceso, magari la neve fuori, il burro lì subito, freschissimo, coi toast caldi, vini del Reno meravigliosi, lini finissimi sulla tavola oltre che in bagno e a letto, nessun pezzo che non sia d'argento vecchio, camerieri abilissimi in frac, piatti molto elaborati e molto cremosi fatti in cucine competenti, e si può leggere un giornale anche a mezzanotte, almeno i titoli, anche in mezzo ai parchi, perché la nebbietta madreperla si illumina dei riflessi delle luci e del neon delle città. E alle otto si è già finito di mangiare: un grosso mixed grill, non la mozzarella con le vongole. Nessuno ha lagnosamente offerto un cazzetto sporco, una sorella lurida, un cugino imbroglione, e i finestrini della macchina non sono stati sfondati per portar via la radio o un pacchetto di Marlboro.